La cicala e la formica

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La cicala e la formica

La cicala e la formica è una favola di Esopo, interpretata anche da Jean de La Fontaine.

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La cicala e la formica DA LEGGERE

Versione di Esopo

​Era d’inverno, e le formiche stavano asciugando il loro grano, che si era bagnato. Ed ecco che una cicala affamata andò a chiedere loro del cibo.

Ma le risposero le formiche: “Perché durante l’estate non hai fatto anche tu provviste?” 

Rispose la cicala: “Non ne avevo tempo, ma cantavo armoniosamente”.

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E quelle, ridendole in faccia, le dissero: “Beh, se nel tempo estivo cantavi, d’inverno balla”.

Versione di Jean de La Fontaine

​La Cicala che imprudente
tutto estate al sol cantò,
provveduta di niente
nell’inverno si trovò,
senza più un granello e senza
una mosca in la credenza.

Affamata e piagnolosa
va a cercar della Formica
e le chiede qualche cosa,
qualche cosa in cortesia,
per poter fino alla prossima
primavera tirar via:
promettendo per l’agosto,
in coscienza d’animale,
interessi e capitale.

La Formica che ha il difetto
di prestar malvolentieri,
le dimanda chiaro e netto:
– Che hai tu fatto fino a ieri?
– Cara amica, a dire il giusto
non ho fatto che cantare
tutto il tempo. – Brava ho gusto;
balla adesso, se ti pare.

Altra versione forse più bella da raccontare ai bambini

In una calda estate, un’allegra cicala cantava sul ramo di un albero, mentre sotto di lei una lunga fila di formiche faticava per trasportare chicchi di grano.

Fra una pausa e l’altra del canto, la cicala si rivolge alle formiche: “Ma perché lavorate tanto, venite qui all’ombra a ripararvi dal sole, potremo cantare insieme!”

Ma le formiche, instancabili, senza fermarsi continuavano il loro lavoro.

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“Non possiamo! Dobbiamo preparare le provviste per l’inverno! Quando verrà il freddo e la neve coprirà la terra, non troveremo più niente da mangiare e solo se avremo le dispense piene potremo sopravvivere!”

“L’estate è ancora lunga e c’è tempo per fare provviste prima che arrivi l’inverno! 

Io preferisco cantare! Con questo sole e questo caldo è impossibile lavorare!”

Per tutta l’estate la cicala continuò a cantare e le formiche a lavorare. Ma i giorni passavano veloci, poi le settimane e i mesi.

Arrivò l’autunno e gli alberi cominciarono a perdere le foglie e la cicala scese dall’albero ormai spoglio. Anche l’erba diventava sempre più gialla e rada.

Una mattina la cicala si svegliò tutta infreddolita, mentre i campi erano coperti dalla prima brina. Il gelo bruciò il verde delle ultime foglie: era arrivato l’inverno.

La cicala cominciò a vagare cibandosi di qualche gambo rinsecchito che spuntava ancora dal terreno duro e gelato.

Venne la neve e la cicala non trovò più niente da mangiare: affamata e tremante di freddo, pensava con rimpianto al caldo e ai canti dell’estate.

Una sera vide una lucina lontana e si avvicinò affondando nella neve: “Aprite! Aprite, per favore! Sto morendo di fame! Datemi qualcosa da mangiare!”

La finestra si aprì e la formica si affacciò: “Chi è? Chi è che bussa?”

“Sono io, la cicala! Ho fame, freddo e sono senza casa!”

“La cicala?! Ah! Mi ricordo di te! Cosa hai fatto durante l’estate, mentre noi faticavamo per prepararci all’inverno?”

“Io? Cantavo e riempivo del mio canto cielo e terra!”

“Hai cantato?” replicò la formica, “Adesso balla!”

Morale: chi nulla mai fa, nulla mai ottiene.

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